Inizialmente il Big Quit (o Great Resignation) si riferiva al numero record di dipendenti che, tra aprile e dicembre 2021, hanno lasciato il lavoro negli Stati Uniti. Il termine ha poi varcato i confini statunitensi, fino a descrivere un po’ dovunque il fenomeno delle Grandi Dimissioni.

Cosa significa Big Quit?

Letteralmente “Big Quit” vuol dire “grande licenziamento”. L’espressione indica un fenomeno attualmente in corso che vede molti dipendenti lasciare volontariamente il posto di lavoro per svariati motivi.

Si tratta di un fenomeno iniziato tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021. Il tasso di cessazione (il numero di dimissioni mensili diviso per l'occupazione totale) è diminuito drasticamente nelle prime fasi della pandemia da Covid-19, per poi tornare a salire una volta che le vaccinazioni e l’allentamento delle restrizioni hanno ristabilito la normalità.

I motivi della Great Resignation

Durante la pandemia i cosiddetti "lavoratori essenziali" si sono trovati ad affrontare un carico di lavoro ingente, spesso senza un adeguato compenso. Sono stati chiamati “eroi” ma pochi sono stati indennizzati a dovere.

Per questo motivo molti dei lavoratori precedentemente impegnati in prima linea hanno deciso di licenziarsi tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021. Non solo: anche il ricorso allo Smart Working, imposto nelle fasi cruciali dell’emergenza sanitaria, ha fatto nascere nuove esigenze e priorità. I lavoratori hanno capito che lavorare da casa può garantire un miglior equilibrio tra la vita privata e lavorativa e fa risparmiare il tempo e il denaro necessario per gli spostamenti casa-ufficio e viceversa. Da qui, il licenziamento e la conseguente ricerca di posizioni più flessibili.

Tuttavia, la pandemia sembra aver solamente accelerato un trend in atto ormai da diverso tempo. Secondo i sondaggi, la maggior parte dei lavoratori si licenzia poiché considera la sua paga troppo bassa. Seguono l’impossibilità di fare carriera e il sentirsi poco considerati dai propri capi.

Il Big Quit in Italia

Secondo i dati diffusi dall’INPS, nei primi tre mesi del 2022 il tasso di licenziamento è stato superiore del 35% rispetto al primo trimestre del 2021 e del 29% rispetto al primo trimestre del 2019. A lasciare il posto di lavoro sono stati prevalentemente i più giovani.

Perché anche i giovani lasciano il posto fisso? Una ricerca condotta dal Politecnico di Milano mette in cima alla classifica l’esigenza di un lavoro agile. I lavoratori più giovani sono in cerca di proposte che permettano loro di lavorare da remoto, per risparmiare sui costi (degli affitti e dei trasporti) e per gestire al meglio la vita privata e familiare. Ma, alla base della decisione di licenziarsi, vi è spesso anche un malessere emotivo: solamente il 17% degli intervistati si è detto soddisfatto del modo in cui la sua azienda lo include e lo valorizza, mentre l’83% dei lavoratori non vede riconosciuto il suo merito e non si rispecchia a pieno nei valori dell’impresa.

Come reagire alla Big Quit

L’imprenditore deve, per prima cosa, capire perché le persone si licenziano. In secondo luogo, sarà necessario mettere in atto strategie per trattenere i talenti, cercando di capire come essere un buon manager e donando ai suoi dipendenti sicurezza, stabilità, motivazione e serenità.

Per prevenire i licenziamenti è necessario valorizzare le differenze dei dipendenti: la Diversity è tra le politiche più apprezzate e più ricercate, specialmente dai più giovani. In secondo luogo, è necessario stilare per i dipendenti un percorso di crescita stimolante. Le regole per porre fine al fenomeno della Big Quit possono essere:

  • l’ascolto del dipendente;
  • la predisposizione di piani di crescita personale;
  • la flessibilità;
  • le pratiche di Employee Retention;
  • gli stipendi adeguati;
  • la formazione.

I dipendenti devono sentirsi coinvolti e motivati.



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